Ormai lo sanno tutti, andiamo in montagna anche per il gusto di trovarci dopo l’escursione in trattoria per vivere il “terzo tempo”,
un momento che enfatizza ed amplifica tutto quello che s’è vissuto prima. E che c’entra con l’escursione di oggi mi direte? Presto
detto, da tempo era nostro desiderio tornare da Pitone a Pescasseroli per riprovare il piacere dei suoi piatti dal sapore antico e
rivivere il calore di quella piccola hosteria, lo stavamo rimandando da un po’ perché per quanto Pitone fosse unico nel suo genere
non bastava da solo a giustificare un viaggio di quasi cinquecento chilometri in una sola giornata. Trovare un motivo in più che
giustificasse un gesto in fondo un po’ irrazionale intorno a Pescasseroli non era certo impresa impossibile ed infatti è venuto facile.
Il monte Palombo mancava alla lista dei 2000 conquistati da Marina, i cinquecento chilometri di viaggio per una montagna “nuova” ci
stavano tutti, dopo una escursione scatta il “terzo tempo” e… et voilà, la causa è nobile, il premio adeguato e l’orgoglio dei montanari
appagato. Chiuso il cerchio.
Quei pochi che mi leggeranno immagino penseranno che mi sono inventato la scusa dell’hosteria, che l’ho usata per costruire il “cappello”
per così dire letterario; invece le cose sono andate esattamente così, è proprio tutto vero, sia la voglia di risalire sul Palombo che
quella culinaria, forse la seconda è più vera della prima. Ad alzataccia ormai archiviata grazie al consueto e quasi tradizionale caffè
al bar di Sora, arriviamo a Fonte Padura alle 8.30, cielo velato, assenza di vento, i pochi gradi di temperatura preludono ad un facile
camminare. La mia prima e unica salita al Palombo risale a 8 anni fa, fu una incursione veloce piuttosto che una escursione, con Luca a
quel tempo si correva dietro alle vette ed il resto contava poco; a parte una estenuante e continua salita su un terreno boscoso a tratti
molto “infrattato” e tanta neve che ci rallentò non poco, ricordo quasi niente, tanto meno la tracia che abbiamo percorso. Oggi più o meno
è andata alla stessa maniera, tutto programmato, ma una concomitanza di fatti insieme ad una buona dose di leggerezza ci hanno condotto in
vetta, ma per vie diverse da quelle preventivate. Per preparare l’escursione ho consultato la carta del PNALeM delle Ed. Il Lupo, un’edizione
precedente a quella uscita lo scorso anno e per questo meno aggiornata. Volevo salire al Palombo da Fonte Padura seguendo un primo tratto
del sentiero Z2 per poi abbandonarlo una volta raggiunta la dorsale intorno quota 1580m. Quello che invece abbiamo fatto una volta superata
la sbarra alla fonte è stato seguire il sentiero principale senza svoltare repentinamente a destra come su qualche relazione c’è scritto,
superare l’area pic nic e senza farci troppe domande imboccare lo Z4. E’ chiaro che una cosa è l’uno ed una cosa diversa è l’altro ma non so
bene perché non ci ho dato importanza; a dire il vero già dopo i primi metri mi sono anche fermato diverse volte per consultare la carta, ho
trovato riferimenti allo Z4 lontani dal punto dove eravamo, attraversava le montagne del Terraegna verso monte Pietra Gentile, nulla a che
fare con noi quindi, eppure nonostante la persistenza di una dubbiosa confusione, mi dominava la certezza che fossi sulla traccia giusta e
che come tante volte accade fosse stata rinominata senza che questo corrispondesse in maniera puntuale all’aggiornamento delle carte;
caratteristiche del territorio, altezza, svolte e direzione continuavano a non convincermi, ma non è bastato per farmi altre domande, ho
preferito insistere e continuare per la stessa direzione! Un po’ come dire che me ne fregavo di quello che c’era scritto sui segnali lungo
il percorso perchè io ne sapevo di più! Se in questi frangenti si fosse più umili e pazienti forse …
Tra fitti boschi ci inoltriamo sull’ampia e sinuosa mulattiera, da lì a poco diventa un vallone stretto tra due scoscesi versanti, poi
fosso e per un tratto breve forra che scorre incastrata tra grossi roccioni (capiremo solo molto più tardi che si trattava del fosso delle
Mandrelle); la neve su fondo, ovviamente immacolata, non ostacolava la progressione, la luce, i muschi, le ombre, la natura, tutto intorno
si andava facendo sempre più seducente, motivi per scattare belle fotografie ne avevo a bizzeffe; la salita era leggera, non eravamo nella
condizione di porci delle domande ed abbiamo continuato sorpresi di tanto isolamento e di tanta bellezza. Solo quando a forza di camminare
la quota non saliva come doveva e quando il sentiero si è immesso su una carrareccia ampia ci siamo imposti di fare il punto (+ 2ore).
Ho continuato imperterrito a pensare ad un errore cartografico, non mi sfiorava lontanamente la possibilità che a fare casino fossi
proprio io. Ogni altra considerazione è stata parto di questa mia straordinaria supponenza, la realtà era che ci trovavamo 200 metri
più bassi e 1 chilometro più distante da dove pensavo di essere. Per fortuna gli errori sono finiti lì, le decisioni che ne sono seguite
sono state logiche, alla fine l’ingenuo e per questo imperdonabile errore ci ha almeno permesso di visitare dei posti che non avremmo mai
visto, ci ha regalato chilometri nelle gambe che non avremmo percorso e alla fine è rimasta solo la triste consapevolezza di non aver letto
a dovere la carta. Per capirci la definitiva chiarezza l’ho avuta la sera, quando comodamente seduti sul divano e consultando la nuova carta
delle Ed. Il Lupo, abbiamo capito tutto il casino commesso; sulla vecchia dentro il fosso delle Mandrelle non correva lo Z4 come invece era
riportato sulla nuova, non correva nessun sentiero, e l’incrocio con la carrareccia altro non era che l’immissione sullo Z1 del fosso; la
leggerezza da parte nostra c’è stata, la carta non aggiornata ha aumentato gli elementi per confondersi e mi ci sono attaccato per darmi un
alibi che giustificasse in parte la mia ignoranza. Raggiunta la mulattiera alla fine del fosso deviamo verso destra, in salita seguiamo una
bella e poco accentuata dorsale, la zona era quella delle “Case di Simone”, dopo aver aggirato il versante del Palombo da Est lo stavamo
salendo improvvisando naturalmente tutto. Saliamo per linee logiche, il bosco ovviamente non curato era per fortuna rado, saliti i primi
cento metri alcune linee che avevamo davanti ci sono sembrati profili di sentieri, la neve che li copriva li disegnava chiaramente, qualche
tornante e ci imbattiamo su dei segnali bianco azzurri di cui non sapevamo il significato, sicuramente indicavano un percorso ma non ci siamo
fidati, andavano traversando in direzione Ovest e abbiamo preferito continuare a salire. La pendenza si andava facendo importante, inventando
linee giuste con molti tornanti la attenuiamo un po’, la neve che è cresciuta di spessore non ci crea difficoltà. Dopo circa 40 minuti
intercettiamo un’ampia carrareccia, ci sono bandierine bianco rosse sugli alberi, in conseguenza dei primi errori non immaginiamo nemmeno che
sia lo Z2 che dovevamo prendere dall’inizio; per fortuna lo superiamo e continuiamo a salire, la fortuna forse non c’entra, gli orizzonti, le
linee di cresta parlavano chiaro, il Palombo era sopra di noi e quel fianco boscoso dovevamo salirlo tutto per sbucare da qualche parte sulla
dorsale; dove, in quale punto, sarebbe stato solo il frutto delle linee di salita che avremmo scelto. Marina voleva andare verso sinistra, col
senno del poi devo dire che aveva ragione, la direzione era migliore, io per obiettivo non avevo quello di avvicinarmi alla vetta ma quello di
raggiungere per linee più morbide possibili la dorsale, un po’ lei ed un po’ io, guidiamo alternati e finiamo per incasinarci la vita su un
tratto molto ripido del versante; la neve non si era accumulata, solo pochi centimetri, a tratti non permetteva di affondare, per giunta con
uno strato di foglie sotto, compatto e bagnato, era come avere delle saponette sotto gli scarponi. Cerchiamo in alto la linea più breve e sicura
per uscire da quella situazione e uno spigolo roccioso sulla nostra sinistra ci è sembrato offrire quel cambio di pendenza che poteva aiutarci.
Una settantina di metri complicati da superare, ognuno per se ad assestare belle pedate per darci stabilità, i bassi faggi che per fortuna
crescevano su questo tratto del versante ci hanno aiutato non poco, insomma, un po’ di mestiere e molta fatica raggiungiamo lo spigolo e
finalmente una pendenza meno ripida. Oltre lo spigolo si apriva un’ampia conca, aperta e luminosa, ci si era accumulata più neve e salire
diventava finalmente facile e sicuro; in alto, tra gli alberi, sembrava anche di intravedere la linea della dorsale, c’era ancora tanto bosco
non volevamo illuderci di averla sfangata ed essere in cima, invece stavamo per uscire per davvero. Lo sfondo del cielo azzurro diventava
lentamente più ampio e risaltava il profilo dei faggi spogli, la neve alta e immacolata, la luce incantevole moltiplicava le linee con le ombre
che creava, la pendenza si attenuava costantemente, riprendevamo fiato e leggerezza dopo gli ultimi venti minuti impegnativi al limite del
rischio di scivolare. Raggiungiamo la dorsale (+1,30 ore dal fosso delle Mandrelle) intorno quota 1900m. radure di bassi ginepri si alternano
a cumuli di neve, l’orizzonte si apre sul versante Nord del Parco, fino alla piana di Avezzano, fino ai profili del Velino e del Sirente.
Riprendiamo verso la cima del Palombo sulla dorsale che sale pigra, radure di ginepro si alternano a brevi boscaglie, in questi tratti di
cresta gli alberi sono riusciti a svalicare salendo da entrambi i versanti, un raro esempio di faggeta al limite dei 2000 metri. Il grande
ripetitore passivo che anticipa l’ampia cresta del Palombo si intravede già tra le chiome spoglie dell’ultimo “ciuffo” di bosco, gli scorriamo
poco lontano, una serie di modesti sali e scendi su morbide e tonde cimette si alternano per un paio di chilometri fino ai 2013 m. della vetta
che raggiungiamo dopo 40 min. dall’uscita in cresta. Un bell’ometto di pietre, l’abbozzo di un secondo lì vicino, l’immancabile scritta del
grafomane di turno per sancire a chi è capitato per caso da queste parti che si tratta della cima del monte Palombo ed uno dei panorami più
superbi sulle montagne del parco ci accolgono quando non c’è più niente da salire. Un panorama totale per 360° ad enfatizzare la posizione
davvero centrale della montagna di Pescasseroli. Un inverno praticamente mai esistito ci consegna solo cime quasi “spelate”, dai profili della
Terratta alle montagne sopra passo Godi e al Marsicano, più difficile distinguere le vette minori ma ci sono tutte, fino al Petroso e
all’inconfondibile profilo del Meta; al di là delle piana di Pescasseroli c’è la sterminata confusione, quasi sovrapposizione di cime
del versante Ovest del parco, quelle che per una manciata di metri non raggiugono quota 2000, dal dirimpettaio monte di Valle Caprara,
al Marcolano, allo Schiena di Cavallo, al Serrone, al Monte delle Streghe, sono davvero troppe per elencarle tutte; indubbiamente e
indiscutibilmente anche con poca neve un gran bel panorama, totalizzante, avvolgente, una sorta di carta in 3D del parco. Ci sediamo
per mangiare qualcosa sotto vento, metà parco davanti a noi, l’imponente Marsicano e tutte le sue cime secondarie, più lontano la lunga
dorsale del Chiarano, più vicina quella della Terratta, insieme al Palombo sembrano contenere l’enorme catino parzialmente boscoso che a
sua volta raccoglie altre montagne minori, dorsali, valli, boschi, e, chissà quanti orsi, lupi, cervi e Dio sa quanti altri animali selvatici;
quell’insieme di colori bruni e linee bianche più o meno morbide, agli occhi di chi ama la montagna familiari e armoniche, sono un’incredibile
universo che solo all’apparenza è statico e silenzioso. E’ impossibile non pensare a quanta vita nasconda quella serena cartolina che abbiamo davanti.
Per quanto sotto vento non possiamo trattenerci a lungo, ci siamo raffreddati velocemente e altrettanto velocemente abbiamo dovuto
riprendere la via del rientro; d’altra parte a valle ci avrebbe atteso un altro momento appagante anche se più prosaico, c’era l’appuntamento
con Pitone e far attendere troppo gli amici non è mai da persone serie ed educate. Si poneva una scelta, fare per via del rientro il percorso
di cresta e cercare di capire dove non abbiamo intercettato il sentiero la mattina, oppure buttarsi di traverso sul versante Nord-Ovest
del Palombo, senza una traccia definita, cercando di calare il più velocemente possibile nelle vicinanze di fonte Padura, la prima più
lunga, la seconda sicuramente più veloce oltre che più corta. Notoriamente Marina ama poco i fuori sentiero, io ricordavo la veloce calata
su quel versante di otto anni fa con Luca e i pochi tratti ripidi che furono aggirati facilmente. Più dei racconti dei miei ricordi deve
essere stata la variabile Pitone a far vacillare Marina, ci siamo ovviamente calati diretti sulla pagina Nord-Ovest del monte. La fame e
la buona cucina sono sempre un valore aggiunto per noi italiani.
Ripercorriamo indietro un primo tratto in cresta per poco più di un chilometro fin quasi al ripetitore passivo, poi abbiamo piegato a
sinistra e cominciato a traversare in un lembo scoperto da alberi, molti tornanti per attenuare la pendenza e quando questa è diminuita
ci siamo infilati nel bosco; prima la presenza di neve, poi un bello strato morbido di foglie secche, la discesa è stata una scivolata
veloce molto più facile di quanto si potesse immaginare, addirittura abbiamo incontrato tracce di calpestio, troppo precise e troppo
ponderate per non essere umane. Si attraversano un paio di tratti di costa scoperta, paradossalmente più difficili da attraversare del
sottobosco, rocce e soprattutto i ginepri ti fanno incespicare frequentemente; gli ultimi duecento metri di dislivello, quando ormai
eravamo già a vista della strada e addirittura di fonte Padura sono stati quelli più insidiosi, più ripidi, il tratto dell’intera discesa
che ci ha rallentato; poco meno di 2 ore è durata, ginocchia e quadricipiti risentivano tutta la veloce calata. Atterriamo esattamente a
fonte Padura, è stato un anello perfetto, solo per i primi tre chilometri dei dodici percorsi abbiamo seguito un sentiero poi ci siamo
inventati quasi tutto, qualche difficoltà in salita poco sotto la dorsale sul lato Est del monte quando pendio, poca neve e strato di
foglie scivoloso ci hanno insidiato, poi la facile e quasi piana dorsale, la cima molto panoramica e una discesa inventata e velocissima.
Ottocentocinque i metri di dislivello superati e un 2000 in più nella personale lista di Marina. Erano solo le 14,20 del pomeriggio quando
saliamo in auto, mentre guido guardo il profilo del Palombo, penso di conoscerlo meglio ora e che meriti ancora un’ulteriore visita per
percorrere integralmente tutta la sua dorsale che piega verso Est; già, ma sarà un’altra avventura, ora ci aspetta Pitone e la sua tradizionale
ma curata e strepitosa cucina casereccia.